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Il reclutamento di manodopera nel quadro delle relazioni italogermaniche 1938-1945

a cura di Brunello Mantelli

L’Italia fu la culla del modello politico fascista, destinato poi a trovare ascolto ed a diffondersi al di là dei confini nazionali dopo il 1922. In Germania quel modello fu recepito, ed attuato con radicalità estrema, dal 1933 in poi.

Sebbene divisi da contrasti d’interesse di natura geopolitica ed economica riguardanti in particolare l’Austria e più in generale lo spazio danubiano balcanico, i regimi monarchicofascista e nazionalsocialista non potevano non convergere all’interno di un progetto politico mirante alla distruzione del quadro internazionale e degli equilibri di potenza scaturiti dalla Grande Guerra e dai successivi trattati di pace.

L’intesa prenderà forma su diversi piani a partire dal 1934, quando viene sottoscritto il primo accordo generale di compensazione (clearing) che avrebbe regolato gli interscambi commerciali e finanziari tra i due Stati, si consoliderà l’anno successivo (1935) tramite l’insieme di protocolli bilaterali riferiti a vari ambiti a cui Mussolini attribuirà il fortunato nome di “Asse” (sempre “Roma-Berlino” sulla stampa italiana, sempre Berlino-Roma su quella tedesca, con maggior rispetto in quest’ultimo caso e dell’ordine alfabetico, e dei reali rapporti di forza tra le due potenze), e, prima ancora di sfociare nel cosiddetto “Patto d’acciaio” (1939), avrebbe dato origine ad una serie di trattati bilaterali su temi economici in cui, a partire dal 1937, sarebbe stato inserito l’invio di manodopera italiana oltre Brennero, utile a colmare fabbisogni che si stavano verificando nell’apparato produttivo agricolo ed industriale della Germania.

Del resto, sarà in seguito lo stesso Benito Mussolini a promettere ad Adolf Hitler, nel carteggio tra loro intercorso tra maggio e luglio 1939, di “mandargli il maggior numero possibile di lavoratori”. Dal 1938 prende così avvio un flusso migratorio, composto da braccianti agricoli, operai edili, minatori, dal 1940 e 1941 lavoratori dell’industria, per un totale complessivo di mezzo milione di persone, uomini e donne.

L’andamento ed il prolungarsi della guerra, assieme alle difficoltà sempre crescenti a sopportarne l’onere da parte dell’Italia monarchicofascista, costretta dall’asimmetria sempre più evidente con la Germania nazionalsocialista a anticipare l’ammontare delle rimesse dei propri lavoratori all’estero alle rispettive famiglie, ne determinano una progressiva riduzione; i rimpatri nei mesi precedenti programmati vengono però interrotti dalle autorità di Berlino in seguito alla crisi dell’estate 1943 (25 luglio); restano così bloccati nel territorio del Großdeutsches Reich (comprendente a quel punto anche l’Austria, i Sudeti ex cecoslovacchi, i territori polacchi annessi dopo il settembre 1939, nonché il Protettorato di Boemia e Moravia ed il Generalgouvernement, di fatto colonie germaniche) circa 100.000 italiani, uomini e donne, il cui status sarebbe drasticamente peggiorato dopo l’8 settembre 1943 (uscita del Regno d’Italia dalla guerra, occupazione militare tedesca del Centronord, successiva creazione della Repubblica sociale italiana a sovranità limitata).

La rottura dell’Asse, al di là del tentativo di ricostituirlo almeno simbolicamente tramite la RSI, avrebbe fatto immediatamente cadere in mano tedesca oltre 600.000 militari italiani, ufficiali, sottufficiali e soldati; data la fame di braccia creata nell’economia di guerra tedesca dal protrarsi del conflitto, soldati e sottufficiali delle Regie Forze Armate sarebbero stati in gran parte avviati subito e coattivamente al lavoro produttivo, mentre il tentativo di servirsi come manodopera degli ufficiali avrebbe avuto tempi più lunghi ed avrebbe visto l’impiego di mezzi sempre più coercitivi.

Contemporaneamente, l’Italia occupata, sia le regioni amministrate dalla RSI, sia le aree al confine orientale e nordorientale (OZAK e OZAV) direttamente rette da organi tedeschi, acquista agli occhi delle autorità germaniche preposte alla gestione della manodopera e al coordinamento della produzione industriale ed agricola (GBA, RMRuKP, RMfEuL) rilevanza sempre maggiore quale riserva di manodopera da drenare oltre Brennero. La pressione dei delegati di Berlino si intensifica con l’andare del tempo perché progressivamente vengono ad inaridirsi le possibilità di arruolare o prelevare lavoratori nelle zone occupate sia dell’Ovest (Francia, Belgio), sia dell’Est (regioni occidentali dell’URSS).

Tutto l’armamentario di misure in precedenza applicate nell’Europa occupata (offerte di contratti di lavoro allettanti, precettazioni per classi di età, rastrellamenti nelle campagne e razzie nelle aree urbane) si abbatte così sull’Italia, seguendo intrecci in parte differenti a seconda delle zone specificatamente coinvolte.

Anche operazioni concepite dall’occupante prioritariamente per altre finalità, quali rastrellamenti antipartigiani o retate miranti a svuotare della popolazione civile territori posti alle spalle del fronte, vengono usate per il recupero di manodopera.

Applicando all’Italia una prassi già da tempo in uso nella Germania nazionalsocialista, si punta ad impadronirsi pure dei detenuti comuni ristretti nelle carceri. Le diverse istanze della RSI o collaborano o comunque non si oppongono a questo insieme di procedure messi in atto dall’occupante.

Complessivamente si possono stimare in oltre 100.000 le italiane e gli italiani che finiscono, nei Venti mesi successivi all’8 settembre 1943. oltre confine come lavoratori civili/coatti. Considerando la cifra, pressoché uguale, di coloro che erano già in territorio tedesco prima dell’8 settembre e che vi erano rimasti rinchiusi, si trattò a quel punto di un universo di pressoché 200.000 persone.

Un gruppo numericamente consistente, ma che non trovò una precisa collocazione nella memoria pubblica dell’Italia postfascista e nemmeno fu preso in considerazione nelle misure di risarcimento verso le vittime ed i perseguitati decise dai governi succedutisi prima nel Regno del Sud e poi nella Repubblica. Sotto il secondo aspetto fu dirimente la scelta di considerare discriminante la volontarietà: data l’impossibilità concreta di vagliare chi avesse accettato le proposte di assunzione per il lavoro nel Reich, e chi invece fosse stato vittima di misure coattive, si decise in alto loco di non indennizzare nessuno di loro.

Il possibile stigma di “collaborazionista” pesò anche sulla assai scarsa autorappresentazione del lavoro in Germania nella memorialistica, spingendo semmai coloro che vi erano stati inviati dopo l’8 settembre 1943 a rifugiarsi sotto il più agevole ombrello di “deportato”, di cui parecchi si servirono nelle dichiarazioni rese dopo il ritorno in patria di fronte a organi ufficiali.

Ovviamente questo escamotage era precluso ai reclutati del periodo precedente, non di rado “colpevolizzati” come fascisti tout court, sebbene al momento della loro partenza quali braccianti, manovali, minatori, operai industriali, per la Germania, cioè dal 1938 al 1942, buon parte di coloro che poi si sarebbero, meritoriamente, schierati contro la RSI e l’occupante tedesco, comprese figure di spicco tra intellettuali, uomini di cultura, scrittori e giornalisti, fossero ben lungi dall’esprimere sentimenti ostili verso il regime, il suo duce, e le norme che erano state da essi emanate, comprese le più odiose.

A tre quarti di secolo dalla fine della guerra è ormai venuto il tempo, invece, di restituire alle decine di migliaia di donne e di uomini che da questa vicenda furono coinvolti e spesso travolti una biografia, una storia, un volto. Questo il senso e l’obiettivo della nostra ricerca e di questo portale biografico, che ci si augura diventi strumento di lavoro e stimolo per approfondimenti ulteriori.

 

 

ABBREVIAZIONI:

OZAV = Operationszone Alpenvorland (comprendeva le province di Belluno, Bolzano, Trento)
OZAK = Operationszone Adriatisches Küstenland (comprendeva le province di Fiume, Gorizia, Lubiana, Pola, Udine, Trieste)
GBA = Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz (istituzione deputata a gestire l’impiego della manodopera; creata il 21 marzo 1942, ne fu a capo Fritz Sauckel).
RMRuKP = Reichsministerium für Rüstung und Kriegsproduktion (nome assunto dal 2 settembre 1943 dal Reichsministerium für Bewaffnung und Munition, istituito il 17 marzo 1940 e posto sotto la guida di Fritz Todt, che lo resse sino alla propria morte, per incidente aereo, avvenuta l’8 febbraio 1942. Gli sarebbe succeduto Albert Speer, sotto la cui guida il ministero sarebbe divenuto il perno dell’economia di guerra nazionalsocialista)
RMEuL = Reichsminister für Ernährung und Landwirtschaft (ministero per l’Alimentazione e l’Agricoltura, retto dal 29 giugno 1933 al 23 maggio 1942 da Richard Walther Darré, poi sostituito in quest’ultima data da Herbert Backe)